Lo sport nella Costituzione, la riforma, la danza

Di Michele Oscar Bonavena

“La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme.”

 

Mercoledì 20 settembre la Camera ha approvato in via definitiva e all’unanimità il disegno di legge di riforma costituzionale per inserire la tutela dello sport in Costituzione.

“…l’attività sportiva in tutte le sue forme”. Quindi non solo lo sport da prestazione, da classifica sul podio, ma anche quelle infinite attività di base, di cittadinanza, individuali o collettive come camminare, correre, pedalare, o come quell’attività sportiva praticate in sodalizi che lo Stato incentiva, agevola, esonera da tasse perché portatrice di valori e di benessere, ma anche di servizi e di economia.
Un segnale di progresso e di civiltà.

Ma perché i Padri costituenti non hanno pensato subito a tutelare lo sport nella Carta Costituzionale?
Nel ’47 avevano alle spalle anni in cui il fascismo propagandava l’orgoglio nazionale dei patrii atleti, nelle città si camminava perché non si avevano a disposizione automezzi, si correva per evitare i bombardamenti e le staffette partigiane pedalavano per recapitare messaggi; nelle campagne la salutare attività fisica era ampiamente garantita dall’ordinaria condizione della giornata di lavoro e non doveva essere tanto familiare l’immagine di un runner che corre in un parco cittadino o le flotte di ciclisti nelle strade della provincia.
Non c’erano sicuramente le 115.000 realtà sportive dilettantistiche contate oggi nel Registro nazionale delle attività sportive (Rnasd o RAS) con i loro 4,6 milioni di praticanti (tra questi numeri ci sono anche la quasi totalità delle scuole di danza e i rispettivi iscritti, ma non sappiamo con certezza quante siano perché mai censite in maniera specifica).

Bella la collocazione della tutela dell’attività sportiva nell’Articolo 33 della Costituzione, dove si sanciscono i valori dell’insegnamento, dell’educazione, della formazione della persona!

Viene aggiunto così un nuovo comma a quell’Articolo 33 che all’inizio recita “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento“, che tante controversie solleva a proposito della regolamentazione dell’insegnamento della danza.
Alto era ed è il valore del primo comma dell’Articolo 33!

Ma perché i Padri costituenti hanno sentito di mettere al primo comma la libertà dell’arte, della scienza e dell’insegnamento?
Forse per ragioni simili alle precedenti. Nel ‘47 avevano alle spalle anni in cui il Min.Cul.Pop. dettava i palinsesti delle trasmissioni dell’EIAR, l’arte e la scienza (e gli artisti e gli scienziati) dovevano essere allineate alla propaganda fascista e l’insegnamento doveva essere conforme al pensiero del regime.
Nei Regi Licei Femminili istituiti dalla riforma Gentile del 1923 si insegnava anche la danza, insieme a musica e canto, come materia artistica obbligatoria mirata ad istruire le signorine di buona famiglia con un obiettivo “squisitamente politico, poiché dettato dalle istanze fascistizzanti cui il costituendo regime stava allora conformando tutte le istituzioni del paese e la scuola pubblica in particolare. Ciò è comprovato dal fatto che, alla stregua degli altri programmi di studio, anche quello di danza (…) venne fissato dallo stesso Ministero.”[1]
Nel 1940 Jia Ruskaja avrebbe fondato la Regia Scuola di Danza di Roma, strettamente legata alle politiche scolastiche del regime, che sarebbe diventata l’attuale Accademia Nazionale di Danza nel 1948.
Inimmaginabile che la danza si sarebbe insegnata liberamente nelle decine di migliaia di scuole di danza private di oggi con centinaia di migliaia di allievi!

L’ingresso dell’attività sportiva in Costituzione arriva temporalmente insieme alla riforma dello sport con la promulgazione della Legge delega 86/2019 che prende forma con l’emanazione dei decreti attuativi e dei relativi correttivi disposti dal recentissimo decreto 120/2023. Una legge che, come nella natura di tutte le grandi riforme, è sicuramente perfettibile e che avrà bisogno dei suoi naturali tempi per avere un assetto stabile ma stabilisce dei criteri che normano il comparto e riconoscono la dignità del lavoro agli operatori del settore.

È da poco in essere anche un’altra importante riforma: il c.d. Codice del Terzo Settore, entrato in vigore con la conclusione dell’iter del D.Lgs 117 del 3 luglio 2017, che riordina le attività di volontariato e di utilità sociale.

Due grandi riforme che il legislatore vuole dialoganti e che interagiscono fra loro allargando la platea di chi, ruotando intorno al perno dell’inclusione, è riconosciuto nel mondo dello sport e del volontariato.

E per la danza? Molte delle criticità del settore troverebbero soluzione in articoli della L.175/2017 (il c.d. Codice dello Spettacolo), ma è curioso che tale legge, che porta la data del 22 novembre 2017, sia ancora in attesa dei decreti attuativi! Eppure è successiva di soli quattro mesi al Codice del Terzo Settore ed è stata approvata ben due anni prima della Riforma dello Sport, leggi già entrambe pienamente operative in ogni loro articolazione! Qualche tentativo di intervenire a dire il vero c’è stato all’inizio del 2022 con l’istituzione presso la Direzione generale dello spettacolo del Tavolo permanente per la danza istituito dal Ministro della Cultura (Franceschini) del precedente governo, successivamente con la promulgazione della L. 106/2022, ed infine con la richiesta di proposte rivolta agli organismi del settore spettacolo dal Sottosegretario di Stato Gianmarco Mazzi del Ministero della cultura dell’attuale governo.

E intanto la danza è stretta fra la decimazione dei corpi di ballo delle fondazioni lirico-sinfoniche e la subalternità alle produzioni di opere liriche, tra la mancanza di autonomia produttiva e amministrativa e l’esiguo numero di spettacoli programmati. Insomma un settore in grande sofferenza culturale, economica, occupazionale, e quindi di sviluppo. Sarà sufficiente la promessa dell’attuale Ministro della cultura Sangiuliano, fatta in un recente convegno a Via del Collegio Romano, di costituire due nuovi corpi di ballo senza peraltro indicare le modalità e la loro collocazione?

Non meglio il settore produttivo privato che, oltre ai problemi comuni con quello pubblico, soffre di problemi di programmazione, di distribuzione e di una totale assenza di politiche ed investimenti che lo incentivino e sostengano quale risorsa artistica, culturale ed anche economica.

E il settore formazione nella danza? Se si esclude l’Accademia Nazionale di Danza, la Fondazione Accademia del Teatro alla Scala e la Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi (appartenenti o riconosciute dal comparto AFAM del MUR), la formazione di ballerine e ballerini con i relativi sbocchi professionali è affidata quasi completamente al settore delle scuole di danza private, che producono il vivaio al quale attingono le compagnie professionali (lì dove le rare condizioni favorevoli consentono di scritturare) o che frequentemente formano danzatori che si trasferiranno all’estero dove più numerose sono le possibilità di impiego in compagnie molto più tutelate e che offrono maggiori garanzie lavorative.
Un settore, quello delle scuole di danza private, che dovrebbe quindi trovare la sua naturale collocazione nel mondo produttivo della danza e dello spettacolo (non nello sport); un settore con numeri mai individuati con esattezza, sicuramente invidiati dal terzo settore e dallo sport, ma che ancora attende di essere riordinato e soprattutto riconosciuto come tale con i propri lavoratori!

Si spiega quindi come le scuole private di danza vengano attratte dalle agevolazioni di cui gode il ben strutturato settore sportivo (al quale di fatto per la loro natura non appartengono) e come gli organismi sportivi abbiano interesse ad attrarle, ora mettendo loro a disposizione anche le opportunità offerte dal terzo settore.
Attendono, le scuole di danza private, di essere riordinate e riconosciute e attendono gli insegnanti di danza di avere anch’essi, come nello sport, la dignità e la tutela del riconoscimento del loro lavoro così come sancito all’art. 2 comma 4. lettera g) punto 2 della L. 175/2017, senza che questo confligga con il primo comma dell’Art. 33 della Costituzione, da cui partono le nostre riflessioni.

Ora siamo in (rituale) attesa di sviluppi… Nel frattempo, nel riverente rispetto delle istituzioni e di chi le rappresenta, ringraziamo i 321 Deputati che hanno approvato (facilmente) all’unanimità il riconoscimento dello sport nella Costituzione.

Un giorno si potrà sperare tanto anche per la danza?


[1] Nadia Scafidi – La danza nella scuola pubblica italiana: il Liceo Femminile fascista

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